Dell’inutilità del camminare… Errare non significa errare

Desideriamo camminare. Sentiamo l’esigenza di partire.  Vogliamo veder scorrere il sentiero sotto in nostri piedi. Pretendiamo di dirigere il nostro passo verso una meta indeterminata. 

Da tempo siamo nelle condizioni che ogni nostra azione, deve essere immaginata, organizzata, agita secondo logiche utilitaristiche. Nemmeno ci ricordiamo l’ultimo giorno in cui ci siamo alzati dal letto in un’alba incerta e indefinita ed abbiamo deciso di praticare atti compiuti, senza una consapevolezza programmata; al di fuori di uno schema predefinito. 

Abbiamo trasformato la quotidianità in una ripetitività accogliente, calda, rassicurante. 

Ci rifugiamo nell’organizzazione di spazi e tempi, richiamando la necessità del pragmatismo come antidoto al caos e come soluzione adeguata al risparmio di tempo. 

Siamo veloci, rapidi, ordinati, regolati, preparati, pianificati, predisposti, organizzati.  E i quarti d’ora risparmiati ogni giorno, li spendiamo per controllare la time-line sui social network. 

Oggi però è diverso, abbiamo bisogno di essere altrove. 

Essere altrove. 

Essere. 

Altrove.  

Il nero, l’arancione, il rosa lilla gradualmente azzurro, che abbiamo osservato rapidamente dal balcone dipingersi nel gelo della pianura sottostante, ci impongono brutalmente di recuperare lo zaino, di ficcarci dentro alla rinfusa qualche indumento.  Un pane di ieri ed un pezzo di formaggio; di chiudere la porta di casa alle spalle. Di afferrare il bastone appoggiato al muro, varcare il portone. 

Oggi andremo per una via, attraverseremo la periferia addormentata, guadagneremo la campagna senza accorgercene. Saremo viandanti. Troveremo un sentiero e cammineremo. 

Sarà un atto inutile, non programmato né previsto. Non avrà riscontro in termini quantitativi. Non potrà essere monetizzato o convertito in alcuna evidenza misurabile o tangibile. Sarà tempo perso. 

Sarà tempo. 

Sarà tempo dedicato alla percezione, ai sensi, all’ascolto del fuori e della connessione con l’interno. 

Non avrà alcun valore, come non ce l’ha un’immagine dipinta, il suono di uno strumento, un pezzo di marmo martellato ed inciso dai solchi di uno scalpello; come non ce l’ha un museo, una biblioteca, un’orchestra sinfonica; un festival di musica rock, una verticale di barolo, la sagra degli strangozzi, pane e olio, un bicchiere di spumabionda dopo il calcetto in un sabato di luglio nel campetto di cemento dell’oratorio. 

Non avrà valore. Sarà inutile. 

Oggi andremo senza una meta. Andremo errando senza alcun motivo né scopo.

Ma errare non significa errare.

Il nero, l’arancione, il rosa lilla gradualmente azzurro, che abbiamo osservato rapidamente dal balcone dipingersi nel gelo della pianura sottostante …

Camminare è rivoluzione? È un atto democratico?

Numerosi sono gli eventi che nella Storia sono rappresentati come rivoluzioni nate dal camminare. 

Dalle più famose e note, (la marcia del popolo su Versailles nell’ottobre 1789, la Lunga Marcia di Mao Tze Dong nel 1934,  la Marcia del sale di Gandhi nel 1930 , la Marcia da Selma a Montgomery  con Martin Luther King nel 1965) alle più recenti (la marcia dei profughi, in maggioranza siriani che nel 2015 ha raggiunto la Germania dall’Ungheria, dove la polizia aveva bloccato ogni tipo di linea di comunicazione o la carovana dei migranti dal Centro America attraverso il Messico, fino al confine con gli Stati Uniti d’America nel 2018).  

In realtà, non si può affermare che tutte le marce nella Storia siano state la scintilla che ha dato vita a rivoluzioni, però ognuna di loro, per quanta risonanza (grande piccola) possa aver avuto, è un elemento ricorrente in un processo di trasformazione. 

Del resto quale migliore metafora se non quella di un “cammino”, può rappresentare una fase di cambiamento? 

Nella letteratura di nicchia inoltre, numerosi sono gli autori che assumono il simbolo “del camminare” come un transferche rappresenta la metamorfosi di singoli individui o di gruppi di persone. Quasi tutti coloro che scrivono in questo settore, indagano l’evoluzione personale oppure collettiva, attraverso la rappresentazione del cammino come un elemento di “passaggio” da una fase all’altra, da una condizione ad un’altra, ecc. 

Ma il camminare, l’essere pellegrini (l’andar per agro),il farsi viandanti (andar per via viaggiando a piedi per lunga distanza)raccoglie nel corso dei secoli anche alcune suggestioni in qualità di atto democratico. 

Rebecca Solnit in Storia del Camminare (Ponte alle Grazie 2018) indaga approfonditamente sulla trasformazione di un’azione intesa da sempre come inevitabile per gli spostamenti, ad attività di profonda comunione con il paesaggio e la natura. 

Questo rovesciamentopassa per la frequentazione di ambienti via via meno domestici, protetti a spazi esterni sempre più ampi. 

In epoca medievale, l’edificio del Potere era rappresentato dal castello, protetto, fortificato, circondato da alte mura. In esso non trovavano spazio giardini, al limite dei piccoli orti produttivi a volte abbelliti dal gusto personale della signora del luogo o dei monaci. 

Il passeggio per diletto viene, esercitato sulle anguste mura merlate oppure nei saloni trasformati successivamente in gallerie coperte, abbellite da specchi e opere d’arte d’ogni tipo. 

Tra il XIV e il XVI secolo il gusto delle corti europee è stimolato dalla creazione e frequentazioni di spazi esterni, i giardini con viali alberati, filari, aiuole e siepi ordinate secondo rigorose linee ortogonali, regole e precisi schemi. 

Con l’andar del tempo in particolare a partire dai paesi anglosassoni, i giardini di corte perdono progressivamente l’ordine geometrico a favore di linee sinuose ed un gusto meno artificioso  maggiormente aderente alla riproduzione del “naturale”. Si rappresenta sempre più, il gusto del camminare in ambiente simile a quello che sta fuori dal Palazzo.

Il desiderio di frequentare e vivere spazi aperti, liberi da costrizioni, frequentando il mondo che sta fuori, diviene talmente impellente che in questo periodo cade anche un altro simbolo del potere aristocratico: il muro di recinzione della proprietà (che infastidisce perché pone limite alla vista e al senso di libertà di muoversi nelle tenute) il quale viene sostituito con il fossato nella sua funzione non più di limite ma di confine permeabile. 

La “rivoluzione” si compie; l’atto del camminare per scopo ludico ricreativo, di godere del paesaggio, di frequentare ed immergersi nella Natura, è compiuto e lo smantellamento dei simboli che custodivano il potere nel medioevo, rappresentano quel seme di democrazia che camminare, racchiude in sé.

Camminare un atto rivoluzionario e democratico

Camminare un atto rivoluzionario e democratico

Camminare nel Genius Loci

Il Genius Loci di derivazione romana ha assunto nel tempo l’accezione di “significati radunati da un luogo”  (Christian Norberg-Schulz 1979)

In architettura il concetto ha avuto un’evoluzione propria, per descrivere lo studio di un ambiente come interazione di luogo e identità. Si identifica come l’insieme di consuetudini, di aspetti culturali e sociali che caratterizzano un luogo e, per tale motivo, ne contraddistinguono la diversità rispetto a territori differenti.

Nel corso del tempo il Genius Loci ha permesso la rappresentazione esatta del rapporto tra uomo-territorio, mediata dalla energiadisponibile in quel dato periodo.

Per secoli il lavoro manuale e la fatica fisica sempre prodotti dallo sforzo individuale, collettivo o mediante l’utilizzo di attrezzature mosse dal lavoro animale, sono state l’unica forma di energia usufruibile. Le trasformazioni conseguenti all’impiego di questa energia hanno permesso modifiche ambientali contenute, limitate, e comunque in equilibrio, in stretto rapporto uomo-natura.

Borghi, villaggi contadini, agricoltura, terrazzamenti, declivi, boschi, foreste strade e vie di comunicazione rappresentano quel Paesaggio, riconoscibile che ha preso forma secondo un principio di sostenibilità e di vicinanza con la dimensione propria dell’uomo.

La rivoluzione industriale e lo sviluppo tecnologico del IXX e XX secolo hanno reso improvvisamente disponibile una quantità di energia meccanica che ha generato una capacità trasformativa sproporzionata, la quale non sufficientemente controllata, ha dato origine alla realizzazione di non-luoghi dove l’alienazione e tutte le sue conseguenze sono esiti che si ripercuotono sull’individuo e nella collettività.

Camminare è un atto che si realizza ricorrendo all’utilizzo di una forza motrice, (quella delle proprie gambe), ormai residuale e sempre più raramente concepita come adatta allo spostamento.

Per il trasferimento da luogo a luogo si utilizza quasi esclusivamente un veicolo.

Attraversare il Paesaggio a piedi, calpestare il terreno di sentieri e strade bianche, significa percorrere delle vie di comunicazione secondarie, meno battute, probabilmente più antiche di un nastro d’asfalto: itinerari che in alcuni casi, esistono e permettono collegamenti da secoli.

Questi percorsi, certamente realizzati con la fatica del lavoro manuale, con l’utilizzo di una tecnologia arcaica, allestiti grazie ad uno sforzo manuale, possono venire percepite come una dimensione di equilibrio e sintonia coerenti ad un Genius Loci a noi consono e maggiormente percepibile come vicino.

«Il carattere è determinato da come le cose sono, ed offre alla nostra indagine una base per lo studio dei fenomeni concreti della nostra vita quotidiana. Solo in questo modo possiamo afferrare completamente il Genius Loci, lo “spirito del luogo” che gli antichi riconobbero come quell’ “opposto” con cui l’uomo deve scendere a patti per acquisire la possibilità di abitare.»

(Christian Norberg-Schulz. 1979)

Bipedi e squilibri

L’atto del camminare è una delle attività umane, che viene studiata da numerose discipline, analizzata sotto gli aspetti più disparati, interpretata da angolazioni e sfaccettature differenti.

Sotto il profilo biomeccanico l’andatura bipede, propria della specie umana, è descritta come un “miracoloso” sistema chiuso e circolare, che nella sua precarietà tende a riprodurre un armonioso ciclo di eventi che portano alla deambulazione.

La posizione eretta è biologicamente e fisiologicamente una situazione apparentemente statica. In realtà si tratta di una continua, affannosa ricerca di equilibrio.

Solo osservando un bambino tra i 12 e i 24 mesi, si riesce a capire come il raggiungimento della stazione eretta sia un traguardo impegnativo, irto di pericoli, di tentativi, di prove goffe, di insuccessi ed infine di un allenamento costante, fino all’ottenimento di quegli automatismi che una volta acquisiti, cancellano dalla nostra memoria biologica la consapevolezza della fatica e degli sforzi per l’ottenimento di un risultato importante nella crescita dell’individuo.

Avanzare però, significa rompere consapevolmente questa condizione faticosamente raggiunta.

Lo spostamento del busto in avanti è il presupposto che determina un nuovo squilibrio; il baricentro perpendicolare alle piante dei piedi disarticola, la situazione di stasi precaria si trasforma ed ha inizio la caduta in avanti.

Il corpo precipita.

Tutte la sicurezza e le certezze della posizione eretta e statica sono messe in discussione.

Solo la traslazione del bacino, una parziale rotazione dell’anca, la flessione della gamba e dell’articolazione del ginocchio, determinano un’immediata reazione alla catastrofe che sta per compiersi.

Infine l’appoggio del piede arresta la caduta, consente il ripristino della condizione di equilibrio, e pone le basi affinché si determini un nuovo ciclo.

Stasi, sbilanciamento, caduta, appoggio, equilibrio; stasi sbilanciamento, caduta …e via.

L’atto del camminare diviene un automatismo che si imprime nei nostri meccanismi neurologici e al pari di tanti altri, diviene un’azione naturale, quasi involontaria, inconsapevole, come il respiro, la deglutizione, lo sbattere delle palpebre, il battito cardiaco.

Camminare dunque, non è semplicemente un’azione di spostamento.

Contiene, nella sua esplicazione ripetitiva al punto da apparire banale e routinaria, una serie di significati profondi, articolati e complessi.

Significa avere consapevolezza che progredire, spostarsi, andare avanti, “evolvere”, sono condizioni che si raggiungono solo se un equilibrio faticosamente raggiunto, viene messo in discussione ed esposto al rischio del precipizio e del disastro.  Allo stesso tempo queste condizione è realizzabile perché protetta dalla capacità di saper reagire e dalla consapevolezza di sapere come proteggere dalla caduta e ripristinare con gli appoggi e gli ancoraggi adeguati, la condizione originaria.

La traslazione impressa dal Camminare è anche ciò che figurativamente simboleggia nella storia individuale (e dell’umanità intera) la trasformazione; ciò che meglio esprime l’avanzamento, il cambiamento, la progressione, in altri termini l’evoluzione della persona e della specie.

Generatore di viandanze irregolari

Palombari d’alpeggio, nasce in un finale di stagione insolitamente caldo e soleggiato. Un Settembre, come non si vedeva da tempo, da queste parti.

Pare quasi che l’estate non voglia lasciare spazio alle terse giornate di ottobre, ai colori autunnali, alle tinte accese del foliagee nei boschi, alla luce brillante che si prepara a smorzare d’intensità mescolandosi nel periodo delle prime nebbie.

In questo scenario, le immersioni a cui il titolo e l’incipit di questo blog fanno riferimento, paiono se non doverose, quantomeno opportune o, se si vuole, ben contestualizzate.

È però il sottotitolo Generatore di viandanze che, nelle intenzioni di chi scrive, dovrebbe destare qualche curiosità aggiuntiva.

Viandanza è un’interessante neologismo coniato dal poeta e scrittore triestino Luigi Nacci.
E’ un termine “felice”, che richiama la Via, che ha una assonanza (voluta e cercata) con il termine Danza e nel suo essere un termine composito di due distinti elementi, ne richiama o riassume in se un terzo;  Viandante.

Il Viandate è colui che cammina per scoprire gli aspetti meno evidenti; è una persona che desidera percorre un Cammino, senza dedicarsi a null’altro che all’Essere, nel fluire del Tempo.

Chi pratica Viandanza ambisce attraversare un tratto di mondo (lungo o breve che sia non ha importanza), senza la preoccupazione di tabelle, tempi di marcia, di tappe, destinazioni o di eccessivi elementi organizzativi e pianificati, che tendono a trasformare l’attraversamento di un territorio, in una performance pseudo sportiva.

Qui su Palombari d’alpeggio, troveranno spazio, i resoconti di questi momenti generativi, nella speranza che restituiscano due cose:  un senso di inquietudine a perseverare in una condizione di sedentarietà; la sensazione  scomoda e di irregolarità, che induca a muoversi. Infine l’interesse, la curiosità, il desiderio a spostare il proprio baricentro in avanti, cosi da ottenere lo slancio per fare il primo passo, i secondo, il terzo … e andare…


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